La poesia, proprio come la vita, è un continuo andare oltre. Oltre gli ostacoli, oltre le sconfitte, oltre le paure; per guastare qunto di bello e di buono ci circonda, nonostante tutto. Andare oltre. Come fanno gli aquiloni.
Come aquiloni oltre l’orizzonte è il titolo della silloge poetica di Anna Maria De Filippi, recentemente edita da Esperidi.
La raccolta, che si apre con le autorevoli riflessioni di Gino Pisanò, Giovanni Delle Donne, Ennio Bonea e Giovanni Moro, contiene poesie inedite e liriche già pubblicate negli anni ’90 in due diversi volumetti, intitolati rispettivamente Oltre l’orizzonte e Come aquiloni
La poesia nasce dall’esigenza di dar corpo, sia pure verbalmente, ai propri sentimenti, ai propri vissuti, alle proprie emozioni. Al netto delle considerazioni tecniche che esulano da questa recensione, mi soffermerò brevemente sui contenuti, per proporre una pista di lettura (tra le tante) del volume di Anna Maria.
Dar corpo ai vissuti, si diceva. La storia di Anna Maria De Filippi è ben nota. I suoi vissuti sono legati a doppio filo al mondo del volontariato, in modo particolare, ma non esclusivo, a quello del Tribunale per i diritti del malato e di Cittadinanzattiva, nelle cui fila ha condotto battaglie sociali e civili di portata regionale e nazionale.
Le poesie contenute nel volume – e non poteva essere altrimenti – seguono il tracciato biografico di Anna Maria, scandendo e sottolineando i momenti lieti e quelli tristi, le conquiste e le sconfitte, le perdite e i successi, l’amore e l’amicizia, le illusioni e le delusioni, la fede e la passione, i lutti e le nascite, i compleanni e le festività, gli affetti e la dedizione incondizionata verso gli “ultimi”.
Quella di Anna Maria è una poesia schietta, a tratti ruvida, carica di sentimento, ma mai melensa; una poesia dura, diretta, che nulla concede alla condiscendenza e che tuttavia non ha timore di indulgere nella celebrazione degli affetti e della famiglia.
Volti e persone animano i versi della De Filippi, tra questi, solo per citarne alcuni fra i più noti, il fondatore della Filanto Antonio Filograna, del quale viene ricordata la liberazione dopo il lungo periodo di sequestro, e Maresa Danese, che ha dedicato la sua vita a strappare tanti giovani alla droga.
Un posto di primo piano, nella poetica della De Filippi, è giocato dalle donne, alle quali è dedicata l’omonima poesia. Il carattere delle donne, forte e dolce allo stesso tempo, è poeticamente reso utilizzando un’analogia acustica:
“Come ruggito / nella foresta antica / corre veloce / l’anima e la voce. / Dolce sussurro / d’un lamento / che raggiunge il cuore / e parla / d’un infinito amore”. Qui, la voce femminile è descritta prima alla stregua di un ruggito, come quello ferino che riecheggia in una foresta antica, e subito dopo come “dolce sussurro”, che, quasi come un lamento, “raggiunge il cuore / e parla / d’un infinito amore”.
L’amore, dal canto suo, non può che esplicarsi nell’impegno sociale, cristallizzato nel componimento intitolato Coscienza, il cui incipit è perentorio: “Esci!”. Un appello a far risuonare la voce della propria coscienza, contro ogni forma di inganno, di tradimento, di infamia e di silenzio. La poesia si chiude con questi versi: “Come può certa gente / vivere di niente / di solo presente? / Non ha voce / né coscienza / albergano altrove / la verità / e la conoscenza”.
Non poteva mancare una lirica dedicata alla città in cui vive e opera la poetessa, Casarano. Così comincia La mia città: “Nuda. / Ridotta una puttana / senza veli”. Qua, i versi sono disincantati e carichi di tristezza per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.
I ricordi si affastellano nella mente e riaffiorano, sotto svariate forme, nelle varie poesie, a dare coerenza e sostanza ad una vita vissuta sino in fondo: “stagione passata / di ricordi / nella memoria conservata” (La mia vita).
Altro tema ricorrente è quello dell’ingiustizia, che, nella sua forma più corrotta, perversa e amplificata, coincide con la guerra.
In Sarajevo e… la De Filippi ci consegna dei versi tanto amari quanto attuali: “E’ la mia anima / che a Sarajevo / Ucraina Palestina / Ruanda Africa Albania / e nel resto del mondo / chiede perdono per questa follia”. Di fronte a questa e a tante altre forme di “follia”, la politica di piccolo cabotaggio, fatta di interessi personali e di ambizioni smisurate, è del tutto inadeguata: “Politico / maschera loquace / marionetta / appesa / al filo / del potere globale” (Pensieri).
Tuttavia, c’è sempre speranza, come ci insegna la poesia Come aquiloni: “Non chiederti dove vanno / conoscono la strada / e nelle notti buie / sanno ritornare / per accendere sentieri / di speranza”.
Su tutto, infatti, regna l’amore, fonte di grandi delusioni, ma allo stesso tempo motore del mondo.
Se nella poesia L’amore, Anna Maria scrive versi carichi di delusione: “amore travolgente / pensavo fosse eterno / invece / fugace / deludente”, poco più avanti l’autrice non può trattenersi dal cantare il Bisogno d’amore che tutti abbiamo e in Dicembre 1996 si legge: “Vorrei costruire ali grandi per abbracciare / l’umanità d’ogni giorno / far scomparire il grigiore / e scolpire nella mente della gente / pagine di saggezza / per vivere appieno il vero significato / della vita che è Amore”.
Sull’amore e nell’amore, declinato in tutte le sue varanti, si chiude il cerchio.
Amore per i figli, amore per i nipoti, amore per il prossimo, amore per la vita.
E del resto, che cos’è la poesia se non amore per la vita?
Alberto Nutricati